Il DOP di Nosferatu racconta la sfida di creare un linguaggio cinematografico unico per il remake di Robert Eggers.
Dopo anni di attesa e preparazione, Robert Eggers porta sul grande schermo il suo personale remake di Nosferatu il vampiro (1922), un classico del cinema horror, capolavoro senza tempo di Friedrich Wilhelm Murnau. La storia segue Thomas Hutter, interpretato da Nicholas Hoult, un uomo inviato in Romania per concludere un affare immobiliare con il misterioso Conte Orlok, incarnato da Bill Skarsgård. Ma ciò che dovrebbe essere un viaggio d’affari si trasforma in un incubo senza fine: con l’ingresso di Orlok nelle loro vite, Hutter e la moglie, interpretata da Lily-Rose Depp, si trovano travolti da una spirale di orrore che colpisce tutto ciò che li circonda. Nosferatu (2024) non è solo una rivisitazione di un classico, ma un’epopea visiva che mescola bellezza e paura.
Dietro la macchina da presa troviamo Jarin Blaschke, storico collaboratore di Robert Eggers, già al suo fianco in The Witch e The Lighthouse - per quest’ultimo, Blaschke ha ottenuto una candidatura all’Oscar nel 2020. Con Nosferatu, il direttore della fotografia ha alzato nuovamente l'asticella, sviluppando un linguaggio visivo capace di trasformare il buio in un elemento poetico e minaccioso. La notte, sotto il suo obiettivo, diventa una protagonista silenziosa, un luogo di emozioni intense e di un terrore che si insinua nell’oscurità. In questa intervista, realizzata da Focus Features, Blaschke racconta il dietro le quinte di questa esperienza creativa e svela in che como è riuscito a filmare l'oscurità. Se sei un filmmaker freelance o semplicemente un appassionato di cinema e desideri scoprire i segreti della fotografia di Nosferatu, continua a leggere.
Nosferatu, Quando è Nata l’Idea del Remake?
Blaschke ha condiviso i retroscena del lungo viaggio che lo ha portato, insieme a Eggers, a tradurre questa visione sullo schermo. La collaborazione tra i due è iniziata molto tempo fa e, come lui stesso racconta, l’idea di realizzare Nosferatu ha radici profonde: «Abbiamo cominciato a parlarne nel 2015, subito dopo l’uscita di The Witch», ricorda Blaschke, sottolineando quanto tempo sia stato dedicato a perfezionare ogni dettaglio del progetto. Riguardo l’evoluzione della storia, Blaschke nota che il cuore del film è rimasto pressoché invariato: «Da quello che ricordo della prima bozza della sceneggiatura, il contenuto non è cambiato molto. Tuttavia, se lo avessimo girato nel 2015, avrebbe avuto un aspetto completamente diverso. La nostra tecnica e il nostro approccio sono maturati enormemente da allora».
Questo commento rivela non solo l’attenzione meticolosa con cui Eggers e il suo team affrontano ogni progetto, ma anche quanto la loro arte si evolva nel tempo, adattandosi a nuove sfide e raggiungendo nuove vette. Con Nosferatu, Eggers e Blaschke dimostrano di essere una coppia artistica capace di spingersi oltre i confini convenzionali del cinema, offrendo al pubblico un’esperienza sensoriale unica, in cui ogni fotogramma è intriso di atmosfera, intensità e una bellezza tanto magnetica quanto inquietante.
Una Visione Romantica e Sfide Tecniche
Nel lavorare su Nosferatu, il principale obiettivo di Jarin Blaschke era tradurre in immagini la visione unica di Robert Eggers. La sfida era chiara: un semplice omaggio all’originale di Murnau non avrebbe avuto senso. Per Blaschke, era fondamentale che il film avesse qualcosa di nuovo da dire, pur mantenendo intatta l’essenza della storia e dei personaggi. Anche se gran parte della trama e dei protagonisti rimane invariata rispetto al classico del 1922, Eggers ha apportato importanti modifiche, come dare maggiore rilievo a personaggi come Ellen. Ma non si trattava solo di aggiornare i contenuti: visivamente, il film doveva distinguersi. «Quando Rob mi ha detto che il film doveva avere un’anima romantica, ho capito la direzione da seguire», racconta Blaschke, rivelando come questo aspetto abbia guidato le scelte estetiche e narrative.
Il film è stato girato su pellicola 35mm con Arricam LT in formato 1.66:1, una scelta tecnica che contribuisce a creare un'atmosfera unica e affascinante. La pellicola, pur essendo a colori, mantiene un’estetica che ricorda i toni del bianco e nero, grazie a un filtro speciale creato per l’occasione e l'uso di lenti particolari (le specifiche tecniche potete consultarle su IMDB). Uno degli aspetti più complessi del progetto è stato girare molte scene di interni al buio. Questa scelta è diventata una sorta di firma stilistica nelle collaborazioni tra Eggers e Blaschke. Ogni loro film, infatti, sembra spingere i limiti tecnici e creativi della fotografia in condizioni di scarsa illuminazione (non è qualcosa, insomma, che puoi girare con l'iPhone). In The Witch, ad esempio, c’era la scena dei bambini rinchiusi in una stalla con il caprone. In The Lighthouse, le sequenze richiedevano di illuminare gli attori in situazioni anguste e opprimenti, come sotto un tavolo. In The Northman, il protagonista si trovava nuovamente in una capanna senza luci o fiamme. Con Nosferatu, Blaschke si è trovato davanti a un copione che conteneva pagine e pagine di dialoghi ambientati in spazi completamente privi di luce artificiale. Questa scelta lo ha costretto a spingere al massimo le possibilità offerte dalla luce lunare, creando sequenze che risultassero naturali e allo stesso tempo visivamente potenti. «Girare scene senza luci e farle sembrare vere è stato probabilmente il compito più impegnativo», ammette.
Un set costruito per la luce
Anche la scelta delle location ha richiesto un approccio creativo e pragmatico. Sebbene ci siano alcuni esterni girati in luoghi reali, gran parte delle ambientazioni, inclusi gli interni del castello di Orlok, sono state ricostruite in studio. Questo ha offerto un controllo totale sulla scenografia e l’illuminazione, ma ha posto anche dei limiti. «Con location così imponenti come il castello di Orlok, spesso non c’è molto che si possa fare: posizionavamo la telecamera dove c’era spazio e cercavamo di ottenere lo scatto migliore», spiega Blaschke. Il risultato è un film che non solo aggiorna il mito di Nosferatu per un pubblico moderno, ma lo trasforma in un’opera ricca di atmosfere gotiche, profondamente emozionante e con una fotografia che spinge i confini della narrazione visiva. Blaschke ed Eggers dimostrano ancora una volta di saper lavorare in perfetta sinergia, creando un’esperienza cinematografica che bilancia innovazione e rispetto per la tradizione.
Nell'ambientazione del castello di Nosferatu, uno degli obiettivi principali era ricreare la sensazione del passare del tempo nell’arco della giornata, un compito particolarmente complesso quando si lavora su un set teatrale. Per rendere la luce naturale il più credibile possibile, Jarin Blaschke si è concentrato su dettagli minuziosi, come simulare il modo in cui la luce del giorno penetra in una stanza e varia con il cambiare delle ore. In particolare, per ottenere l'effetto visivo desiderato durante alba e tramonto, Blaschke ha svolto un'approfondita ricerca sulla dimensione relativa del sole e sui rapporti di luce che si riflettono negli spazi interni a diverse ore del giorno. Creare da zero albe e tramonti all'interno di uno studio è stato, come lui stesso afferma, un’esperienza stimolante e gratificante.
Composizione, Costumi e Colori: l'Estetica della Paura
Una delle caratteristiche più distintive di Nosferatu è il modo in cui la fotografia notturna è riuscita a trasformare l’oscurità in qualcosa di straordinariamente bello e palpabile. Tuttavia, catturare questa bellezza è stato tutt’altro che semplice. Quello che l’occhio umano percepisce naturalmente non corrisponde a ciò che una pellicola o un sensore digitale possono registrare. La luce deve essere esposta secondo rapporti specifici affinché il risultato visivo susciti le stesse sensazioni provate nella realtà. Blaschke ha dedicato particolare attenzione alle scene illuminate dalla luce lunare, dove le informazioni cromatiche sono estremamente ridotte. In condizioni di scarsa illuminazione, infatti, l’occhio umano perde la percezione dei colori, affidandosi esclusivamente ai bastoncelli della retina, e non ai coni, che sono responsabili della visione a colori. Per replicare questa condizione sullo schermo, Blaschke ha utilizzato filtri speciali che eliminavano quasi completamente le tonalità di giallo e rosso, oltre alla maggior parte del verde, lasciando prevalere il blu. Questo processo ha permesso di ricreare le lunghezze d’onda che l’occhio umano percepirebbe al chiaro di luna, conferendo alle scene notturne un’atmosfera unica, al tempo stesso naturale e surreale.
«Abbiamo tratto ispirazione da artisti come Caspar David Friedrich e Frederic Church, il cui romanticismo visivo si sposa perfettamente con l’atmosfera del film.»
La collaborazione tra Blaschke, la costumista Linda Muir e il production designer è stata fondamentale per creare una palette visiva coerente con le esigenze delle riprese in condizioni di scarsa illuminazione. Nel buio, infatti, i toni visibili sono drasticamente compressi, il che richiedeva che ogni elemento sul set rientrasse in una gamma cromatica adatta alle scene notturne. La costumista ha dovuto ideare abiti che funzionassero sia alla luce del giorno che in condizioni di bassa luminosità. Per esempio, i cappotti neri sono stati realizzati in tonalità di nero meno intenso, quasi sbiadito, per evitare che apparissero come masse informi nelle riprese notturne. Alcuni indumenti, come le camicie, sono stati arricchiti con dettagli lucidi o riflettenti, in modo che potessero distinguersi quando illuminati da una fonte di luce, come un fuoco o un controluce. Allo stesso modo, un abito da notte bianco non poteva essere troppo brillante, per evitare che risaltasse eccessivamente in contrasto con l’oscurità circostante. Tutto, dai costumi agli elementi scenografici, è stato calibrato in un delicato equilibrio di gradazioni tra luce e ombra, per garantire che ogni dettaglio emergesse in modo armonioso sullo schermo. Questo lavoro meticoloso ha trasformato le difficoltà tecniche in opportunità creative, regalando a Nosferatu una fotografia che non solo esalta l’atmosfera gotica del film, ma immerge lo spettatore in un mondo visivo che è tanto autentico quanto ipnotico. Ogni scelta, dalla luce ai costumi, contribuisce a costruire un'esperienza cinematografica che va oltre il semplice racconto.
Nel mondo visivo di Nosferatu, i colori giocano un ruolo cruciale, ma anche le scelte su cosa evitare sono state altrettanto decisive. Il regista è stato categorico su un aspetto in particolare: il rosso, ad eccezione del sangue, doveva essere praticamente assente. Questa decisione serviva a dare maggiore forza visiva e simbolica al momento in cui il colore rosso appariva, trasformando ogni goccia di sangue in un dettaglio potente e narrativamente significativo. Persino l’arredamento delle case progettate da Craig Lathrop, il production designer, è stato sottoposto a un’attenta selezione cromatica per evitare che i mobili marroni risultassero troppo caldi o tendenti al rosso sotto diverse condizioni di luce. Questa cura meticolosa sottolinea come ogni elemento, anche il più piccolo, contribuisca a costruire l'atmosfera unica del film. La composizione delle inquadrature è un altro tratto distintivo del linguaggio visivo di Eggers. Il regista predilige una simmetria rigorosa e un’estetica classica che si allinea perfettamente con il contesto storico e culturale del film. Questo approccio si rifà a modelli pittorici come le opere di Caspar David Friedrich, che incarnano il romanticismo tedesco con i loro paesaggi carichi di emozione e introspezione. Tuttavia, Jarin Blaschke, ha trovato ispirazione anche nei contemporanei americani di Friedrich, come Frederic Church, esponenti di un romanticismo visivo più legato alla vastità e alla potenza della natura. Questi riferimenti pittorici si intrecciano con il film, conferendogli una profondità visiva che richiama l’arte dell’epoca, pur mantenendo un’identità cinematografica unica.
Movimenti di Macchina e Sodalizio Creativo
Per quanto riguarda il movimento della macchina da presa, Nosferatu adotta un approccio prevalentemente controllato e statico, ma con alcune eccezioni significative. All’interno del castello di Orlok, la cinepresa sembra spesso anticipare i personaggi, conducendo lo spettatore in luoghi che il protagonista non ha ancora raggiunto o rivelando dettagli che rimangono fuori dalla sua consapevolezza. Questo tipo di movimento crea una sensazione di onniscienza inquietante, come se l’occhio della cinepresa fosse un’entità a sé stante, che osserva e giudica. In alcune sequenze, il personaggio riappare nell’inquadratura in momenti inattesi, accentuando una sottile sensazione di disorientamento e tensione. Questo stile contribuisce a rendere l’intero film intriso di un’atmosfera "fuori asse", dove nulla è completamente stabile o prevedibile. Il linguaggio visivo riflette anche una sensibilità estetica tipica dell’inizio del XIX secolo. La formalità delle inquadrature, con molte riprese di profilo e composizioni studiate nei minimi dettagli, richiama un modo di rappresentare il mondo che può sembrare un po’ soffocante ma che si adatta perfettamente al tono del film.
Questo stile deliberatamente costruito amplifica il senso di isolamento e repressione emotiva dei personaggi, avvolgendoli in un universo visivo che rispecchia la loro condizione interiore. Lavorare con Eggers è un’esperienza che, secondo Blaschke, continua a stupire anche dopo 17 anni di collaborazione. Eggers ha la straordinaria capacità di trasformare un’idea apparentemente banale in qualcosa di profondamente originale e sorprendente. Blaschke ricorda come un recente copione, inizialmente accolto con scetticismo, si sia rivelato una vera rivelazione al momento della lettura. Questa capacità di reinventare continuamente il cinema e affrontare ogni progetto con una prospettiva nuova rende il lavoro con Eggers non solo stimolante, ma anche una continua fonte di ispirazione. Nosferatu non punta tanto sulla novità della trama, quanto sul modo in cui questa viene narrata. È una storia che il pubblico conosce bene, ma ciò che rende il film memorabile è l’esperienza del viaggio.
Nosferatu, l’eredità di Robert Eggers
Nosferatu di Robert Eggers emerge come una delle reinterpretazioni più coraggiose e raffinate di un classico del cinema, probabilmente anche superiore al Nosferatu, il principe della notte (1979) di Werner Herzog. Non si tratta semplicemente di un remake, ma di un'opera che, attraverso una visione artistica audace e una fotografia che oscilla tra il realistico e il trascendente, riesce a dialogare con la storia del cinema, arricchendola di nuovi significati. La cura ossessiva per i dettagli cromatici, l'uso sapiente delle ombre e della luce, e l'approccio meticoloso alla composizione e al movimento della macchina da presa non sono semplici esercizi di stile, ma strumenti che Eggers e il suo team utilizzano per immergere il pubblico in un universo oscuro, inquietante e poetico. Ogni scelta, dal colore dei costumi alla disposizione della cinepresa, è pensata per evocare emozioni, raccontare visivamente la storia e creare un'atmosfera di sottile tensione e meraviglia. Consigli che qualsiasi videomaker dovrebbe incorniciare e imparare a memoria.
In un’epoca in cui molti film si accontentano di una bellezza superficiale, Eggers ci ricorda che il vero cinema è un'arte che tocca le corde più profonde dell’animo umano. Nosferatu, che piaccia o meno, è una testimonianza di come il cinema possa essere al tempo stesso tradizione e innovazione. Se ti interessa l'argomento o desideri suggerirmi nuovi spunti di riflessione, ti invito a utilizzare il form dei contatti o a lasciare un commento all'articolo.