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No, I don't want to dance: i pericoli dell'emulazione social nel cinico corto in stop motion di Andrea Vincigu

19/05/2024 18:00

Vito Sugameli

Cortometraggi, Corti, Animazione,

No, I don't want to dance: i pericoli dell'emulazione social nel cinico corto in stop motion di Andrea Vinciguerra

Ti sei stancato dei cortometraggi “sociali” che somigliano a pubblicità progresso degli anni '90? Il corto di Andrea Vinciguerra è quello di cui hai bisogno!

Ti sei stancato dei cortometraggi “sociali” che somigliano tutti alle pubblicità progresso degli anni '90? Il corto di Andrea Vinciguerra è quello di cui hai bisogno.

Nella mia rubrica Visti sul web parlo spesso di progetti che mi hanno colpito e ispirato per il loro valore sociale, per la potenza dell’idea, per la storia interessante che vi sta dietro (è il caso dei video virali) o per la tecnica innovativa (come nei – ehm, molti – corti e spot realizzati o restaurati con l’AI). Ma da quanto tempo non dedico questo spazio a una creazione che mi ha genuinamente divertito e che trovo geniale per il modo in cui è realizzata? Rimedio subito: in questo post ti voglio parlare di No, I Don't Want To Dance!, cortometraggio animato di Andrea Vinciguerra, sceneggiatore, regista e creativo italiano che vive Londra. Non lo hai mai visto? È ora di rimediare.

Come è realizzato il corto di Vinciguerra

Musicista punk e creatore di immagini fin dalla giovane età, Andrea Vinciguerra – italiano, a Londra – si dedica soprattutto ad animazione e live action. Negli anni ha sviluppato uno stile graffiante, spesso al limite del black humor, e le sue storie fantasiose e assurde sono perfette per essere rappresentate con i personaggini stilizzati protagonosti di No, I Don't Want To Dance!

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La tecnica usata in questo cortometraggio unisce, infatti, animazione 2D, live action e stop motion. Sul sito web dell’artista è presente una vasta sezione dedicata al making off delle figurette usate nel film: sono state modellate da Kat Simpson e “vestite” dalla costumista Isabelle Riley; Adeena Grubb le ha messe in movimento dal vivo mentre Tim Allen e Will Hodge sono gli animatori. 

Il set, però, ha visto la partecipazione di molti altri professionisti: il designer e scenografo Phil Shaw alla realizzatrice degli oggetti di scena Nada Moussa, passando per la fotografia di Jamie Kennerley, Thomas Wootton e Will Hodge. Soprattutto, però, da stessa ammissione di Vinciguerra, è la musica ad essere la assoluta protagonista del corto: la colonna sonora è di Pietro Ventimiglia e il montaggio sonoro di Francesco Corsello.

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Di che cosa parla il cortometraggio di Andrea Vinciguerra

Hai mai pensato a quanto può essere pericoloso improvvisare una danza quando nessuno se lo aspetta? Più di quanto credi. Partendo da questo interrogativo, assolutamente ironico e esilarante, Andrea Vinciguerra realizza un cortometraggio animato di durata inferiore ai 3 minuti che farai fatica a dimenticare. Ecco cosa scrive il regista sul suo sito web:

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«Questi sono tempi bui. La crescente quantità di questioni politiche, sociali e ambientali riempie l’agenda di milioni di persone preoccupate in tutto il mondo. Potresti pensare che nei nostri tempi moderni e accurati ogni potenziale pericolo sia stato identificato. Ti sbaglieresti. C’è una questione critica che, ancora, nessuno ha preso in considerazione: quanto può essere pericolosa la danza. Viviamo in un mondo in cui la danza è ovunque e, che tu ci creda o no, un giorno ai tuoi figli verrà chiesto di ballare. Seguire ciecamente i ‘movimenti’ degli altri può portare a conseguenze catastrofiche. Questo cortometraggio mira ad aumentare la consapevolezza di quanto possa essere mortalmente pericolosa la danza. Quindi spero che un giorno, quando qualcuno te lo chiederà, sarai in grado di rispondere: ''No, non voglio ballare!'»

Ne sai meno di prima? La “colpa” è dell’autore, che sceglie di essere volutamente enigmatico. La vicenda al centro del corto, infatti, è tutta da scoprire. Vediamo una serie di sequenze, ognuna con i suoi protagonisti, che difficilmente potrebbero fare pensare all’evoluzione che ciascuna storia ha. C’è la coppia al primo appuntamento al ristorante, una madre che cucina per il figlio “bamboccione”, la ragazza alla lavanderia a gettoni, un gruppetto di sconosciuti in ascensore. Cosa hanno in comune tutti questi scenari? Uno o più personaggi che ascoltano la musica rapiti e coloro che li circondano che, loro malgrado, saranno catturati dal ritmo. Non ti va di ballare? Bè dovrai farlo lo stesso. A meno di proclamare, chiaramente, No, I Don't Want To Dance!

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Non tutti i cortometraggi devono insegnarci qualcosa: Vinciguerra “contro il sociale”

Chi di voi ha mai partecipato a un festival cinematografico, soprattutto nel circuito indipendente, sa che richiesta sottointesa e qualche volta anche esplicitata da regolamento è che il cortometraggio abbia un messaggio sociale o edificante. Contro la violenza, contro la guerra, contro il bullismo. Poco importa, poi, se il corto è una schifezza: l’importante è il messaggio. Questo principio, personalmente, mi ha sempre fatto arrabbiare: ecco perché quando ho letto le dichiarazioni di Andrea Vinciguerra mi sono trovato in grande affinità con lui. L'autore di No, I Don't Want To Dance! ha deciso di rifiutare l'imposizione del messaggio impegnato e, semplicemente, di realizzare un corto spassoso con una tecnica eccellente e un’idea creativa esplosiva

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«Ho deciso di trasformare il corto in un 'film sociale' che promuove l'idea sciocca che la danza sia pericolosa quanto la droga, l'alcol e simili pericoli. Parte di questa scelta deriva da un sentimento personale che volevo esprimere con un sottile attacco satirico nei confronti dell'industria creativa. Oggi più che mai sento che per ottenere un riconoscimento, soprattutto nei festival cinematografici, più che essere originali o creativi bisogna produrre un lavoro che tratti questioni considerate importanti e promuova la consapevolezza sociale e la diversità, il che sulla carta è una cosa grandiosa soprattutto se si considera la situazione politica che stiamo vivendo attualmente. L'altro lato della medaglia è che diventa un po' più difficile distinguersi per persone come me che lottano per conformarsi e continuano a creare opere di finzione e commedie che non esplorano le tematiche 'giuste'».

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Chissà poi quali sono le tematiche giuste, mi viene da aggiungere. E soprattutto, se la tematica è giusta ma il corto è sbagliato, perché realizzato malissimo, è ugualmente meritevole di partecipare a un contest e magari vincerlo? Sai già qual è la mia opinione, ma qui nei commenti puoi dirmi come la pensi tu.